La musica ed il volume

Sono rientrato ora da una cena di lavoro. Meglio, “anche di lavoro”.

Sulla strada del ritorno ho fatto partire il Bimbo (ndr. l’iPod) che stava pazientemente attendendo di selezionare in ordine casuale i brani contenuti nella playlist “almeno quattro stelle”. Il tragitto gli ha consentito di propormi solo tre brani, Feel di Robbie Williams, Theme from Mediterraneo di Andrea Griminelli e Nessum dorma dalla Turandot di Puccini.

Questi brani in comune non hanno niente, se non il fatto di trovarsi attributio, su una scala estremamente personale, almeno quattro stelle. In verità non solo questo. Più precisamente hanno in comune cose diverse tra loro che li hanno fatti valutare “almeno quattro stelle”, tra queste il volume…

Si, il volume d’ascolto: alto. Ma quanto alto? QB, quanto basta. Cioè il volume sufficiente a far sentire la musica sulla pelle, a farla sentire “densa” nel luogo d’ascolto. Ci risiamo, come definire “densa”? Direi… la stessa differenza che c’è tra l’aria e l’acqua di una piscina. L’acqua si manifesta opponendo resistenza ai movimenti, esercitando una pressione percepibile sulla superficie del corpo, senza tuttavia dare fastidio o diventare insopportabile. Riempie ma non satura, avvolge senza costringere, penetra senza trafiggere.

Insieme ad altre, a far buona compagnia ai citati, ci sono l’Adagio per archi di Samuel Barber, il Canone in Re maggiore di Pachelbel e The Way It Is di Bruce Hornsby.